La cooperante Francesca Brufani e la fotografa Francesca Boccabella sono state in missione in Kosovo e hanno incontrato per noi Dardana e Ariana, le sorelle destinatarie delle borse studio universitarie sostenute dalla Fondazione Valter Baldaccini. Lasciamo alla loro penna e ai loro scatti il racconto di una giornata trascorsa insieme.
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È la notte prima degli esami e Ariana, una spilungona di 1 e 75, si è dipinta le unghie di margherite dopo una passeggiata serale tra i campi di grano di Leskoc, prima di dedicarsi all'ultimo ripasso. Domani tocca alla prova pratica di pallavolo – volejboll, come dicono qui - tra due giorni all’esame di anglisht, inglese.
"Sei preoccupata?"
Ariana sorride, nella sua coda di treccine che la fa somigliare alle migliori atlete olimpiche che si possono guardare da vicino solamente in tv.
"No…"
Ariana parla italiano "come l'acqua" come si dice in Kosovo quando si padroneggia una lingua, ha vent'anni ed è iscritta alla facoltà di Educazione Fisica a Pristina, in uno degli atenei più prestigiosi del paese, ospite di un convitto assieme alla sorella Dardana, pure lei al primo anno di università. Vent'anni fa, fino a prima della guerra, possedere dei libri in lingua era illegale, si studiava nelle cantine e nei garage, mentre la presenza albanese nelle università era contingentata in favore di quella serba. Oggi, invece, si respira aria di normalità.
Dardana, alta e ambrata pure lei come la sorella e il cui nome riecheggia quello di un'antica tribù illirica, più che lo sport ama il mondo dell’infanzia; ha studiato Storia per un anno, ma ora si sta preparando per sostenere il test d'ingresso per Scienze dell'Educazione e restituire con professionalità al mondo dei bambini quello che ha ricevuto da quando è stata accolta nella Casa di Leskoc.
Ariana e la sorella ci portano per mano nella loro cameretta fatta di specchietti, foto, mozziconi di lettere e ricordi mollettati ad un filo. Ci sono ancora i pacchi da disfare del convitto dove dormono a Pristina, vicino all'ateneo, da cui sono rientrate per la pausa estiva e per guadagnare il fresco delle colline. “La vita a Pristina è diversa ma le lezioni e lo studio ci prendono molto…”.
Dardana ha riempito le sue mollette di disegni, Ariana di schizzi che abbozza nel tempo libero, a volte per noia, a volte per qualcuno. Dalle loro finestre si vede il tramonto più bello del Kosovo sulle Bjeshkët e Namuna, le Montagne Maledette, che i miti del posto vogliono popolate dalle zana e maleve, delle donne fatate dai capelli lunghissimi che riporterebbero sulla retta via, si dice, chi smarrisce il cammino.
"L'università può aprire delle porte che un giovane ancora non può capire a pieno” ci spiega Violeta, una delle operatrici della Casa di Leskoc. Con il suo sguardo e la sua saggezza sembra lei la loro fata dei boschi che indica la rotta, proprio come sulle Bjeshkët e Namuna. “Il problema qui è che i prezzi sono come quelli italiani ma gli stipendi sono molto più bassi e pensare di sognare un futuro e di rimanere, quando l'economia si basa quasi esclusivamente sulle rimesse dall'estero, rimane una sfida. Però la formazione oggi può permettere davvero ai giovani del Kosovo di poter fare il salto..." E Ariana, che di salti ne capisce e li studia nello sport e ha persino battuto a un set i militari della Kfor in un torneo di beneficenza con gli altri ragazzi della Casa, si sta aprendo la strada insieme alla sorella per poter saltare anche nella vita.
Ariana e Dardana ci accomiatano dalla loro stanza; Ariana senza accorgersene a mo' di saluto indica un quadretto imbalsamato di verde e giallo che campeggia sulla scrivania e che fa da sfondo alle giornate estive di studio: La Speranza non delude, dice. Dopotutto, commenta Violeta, "il Kosovo è donna: in albanese è Kosova, è al femminile". La speranza del paese, sembra dire, passa da qui: da Ariana, da Dardana, dal loro salto e dai loro studi.
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