Il suo soprannome è Lulù, come il vezzeggiativo con cui la madre usava chiamarla da bambina. Da allora, il suo appellativo è diventato quello, un nome che nell’etimo esprime anche la forza e che riflette a pieno tutta la sua tempra.
42 anni, spellana, tre figli e due attività – la sua e quella del marito – che andavano a gonfie vele fino al 9 marzo 2020, quando all’improvviso affonda tutto.
“Con il lockdown abbiamo smesso di avere un reddito. Per un po’ siamo andati avanti di rendita, fino a quando, ad agosto, ci siamo ritrovati completamente a terra. All’inizio abbiamo provato a farcela da soli, ma non si trattava solo di una questione economica ma anche di ricevere una parola di conforto, che è una cosa che ha un valore molto più alto. Abbiamo provato a reinventarci, ma la seconda chiusura è stata anche più dura della prima perché ha ucciso quelle speranze che avevamo provato a rialimentare. A quel punto non sapevamo più a chi rivolgerci: eravamo soli; mia madre veniva da una lunga malattia e in famiglia non avevamo nessuno che potesse sostenerci” .
Così, racconta Lulù, è arrivata alla Caritas diocesana di Foligno e, attraverso questa, al progetto socio-educativo “Famiglia e lavoro” della Fondazione Valter Baldaccini.
“Ho avuto la grande occasione di poter mettere a frutto le mie competenze pregresse. Avevo sempre lavorato nell’amministrativo, ma con la pandemia tutto si era bloccato. Mi dicevo: ‘ecco, ho studiato questo e non mi ha portato a niente’ e mi rimproveravo di aver toppato strada perché come tante persone ero diventata povera. Poi è arrivata la telefonata che mi ha cambiato la vita e mi ha dato la risposta che cercavo perché niente, invece, va perduto. Il primo giorno di questi tre mesi di borsa lavoro mi ricordo che ero felicissima perché volevo solo sentirmi utile; poi mi sono accorta che c’era molto di più e che avevo guadagnato l’opportunità di fare quello che mi piaceva davvero, ma con un senso ulteriore”, un “nuovo” che prima non c’era".
E aggiunge: “Questo progetto mi ha aiutata nell’animo, nel rinascere. Non basta la buona volontà per farcela, serve anche la pacca sulla spalla, qualcuno che ti dica ‘tu puoi’. Qui adesso faccio questo per gli altri. Qui ho trovato persone che senza giudicarmi per la mia storia hanno saputo scoprirmi, ho scoperto che si può dare tanto anche se si pensa che si sta dando poco e che se si perde la fiducia in sé stessi – non i soldi – si perde tutto, anche la dignità. Ho scoperto che il migliore investimento che si può fare nella vita è quello che è stato fatto con me: investire nelle persone e nel loro futuro, aiutarle a costruire relazioni, dare strumenti per spiccare il volo. Ci sono dei ragazzi che sono stati inseriti con me e nei mesi li ho visti mettere in fila un passo dopo l’altro. C’è chi mi chiama ancora “signora Lulù”, nonostante per me siano come dei figli; c’è chi scrive poesie e porta una ventata di freschezza nelle situazioni più difficili. Qui ho capito che la vita è fatta di scelte e che scegliere di agire nella verità e con l’aiuto degli altri apre sempre strade inattese”.
La grande lezione, sembra dire Lulù, di tutta questa salita.
La storia di riscatto di Lulù è una delle opportunità possibili grazie alle donazioni che riceviamo dal 5x1000. Ogni firma, per chi si trova affrontare un momento difficile come è successo a Lulù e alla sua famiglia, è preziosa. Anche quest’anno al momento della dichiarazione dei redditi scegli di destinare il tuo 5x1000 ai progetti socio-educativi e umanitari della Fondazione.
Grazie a Francesca Brufani di Caritas Foligno per aver raccolto e scritto questa bellissima storia.
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